venerdì 24 settembre 2010

La città, fabbrica di anticorpi. Mah

La città fa bene. Sarebbe quanto emerge da uno studio condotto da un gruppo di ricercatori britannici che, dopo una serie di analisi, avrebbero scoperto come gli abitanti nelle grandi città sarebbero dotati di una variante al Dna che li renderebbe maggiormente resistenti a malattie come la tubercolosi e la lebbra.


Ora, detto che la ricerca, in quanto scientifica, avrà sicuramente un fondo di verità, mi chiedo se non si prendano in considerazione altri parametri per definire come in una città si stia bene. Mi riferisco allo stress provocato da ritmi frenetici, dallo smog, dalla facilità con cui l’individuo è in grado di non essere percepito. In altre parole mi pare che, nelle metropoli, sia difficilissimo ammalarsi di tubercolosi ma molto semplice vivere nella solitudine o soffrire di patologie da stress.

Qualche giorno fa, per lavoro, sono stato in un paesino di 700 abitanti sopra la città. Per strada i nonni camminavano a un ritmo impensabile, le panchine erano tutte piene. In uno dei due bar del paese, un bicchiere di vino dura quasi un’ora. Impensabile: una sorta di elogio alla lentezza. Forse, lo scampolo d’assenza dai ritmi metropolitani in cui rifugiarsi mi piacerebbe parecchio. In ultimo, ma non per questo meno importante, in quel paesino non prendeva il telefono: un disastro per la contingenza strattemente personale, una manna per chi vuole fuggire da ritmi cui onestamente ci siamo ormai abituati ma che definire salutari mi pare francamente un eufemismo.

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