martedì 21 settembre 2010

Sei (6) buoni motivi per non iscriversi a Facebook

Da chi non te lo aspetti. Il direttore dell’edizione britannica di Wired, David Rowan, non ha un profilo di Facebook e nemmeno di un altro socialnetwork. Al di là del suo ruolo specifico, di direttore di una rivista che si propone di spiegare la tecnologia e il web 2.0 al resto del mondo, fanno riflettere i motivi che lui stesso adduce a questo suo silenzio social. E, forse, non ha proprio tutti i torti anche se oggi, con 500 milioni di utenti, si trova in netta minoranza.
Di seguito i suoi 6 motivi per il "Facebook no grazie".
1. Le aziende private non fanno i vostri interessi

Facebook e Google sono società nate per fare soldi dando la possibilità agli inserzionisti di sapere con precisione cosa vi piace e cosa no, accedendo ai vostri like, interessi, fotografie e connessioni sociali. Questo spiega la complessità dei vari settaggi sulla privacy. Per esempio, il disclaimer sulla privacy di Facebook in inglese è passato dalle 1.004 parole del 2005 alle 5.830 di oggi (e, come fa notare il New York Times, la Costituzione americana ne ha 4.543). Rowan ammira l’impero messo in piedi da Mark Zuckerberg, ma non si fida di lui.

2. Internet non dimentica
«Quando si è giovani, si fanno errori e parecchie cose stupide» ha detto Obama agli studenti di un liceo in Virginia. «State attenti a cosa pubblicate su Facebook, perché nell’era di YouTube qualsiasi cosa farete potrà essere tirata fuori in futuro». Tutti abbiamo bisogno di spazio per crescere, sbagliare e cambiare. Come ha detto lo scrittore Jaren Lanier, se Robert Zimmerman — un ragazzino di una piccola città del Minnesota — avesse avuto Facebook, sarebbe diventato il Bob Dylan newyorkese?

3. Le informazioni che date per qualcosa, verranno usate anche per qualcos’altro…
I database con le nostre informazioni si stanno intersecando sempre di più. Rowan fa un esempio estremo, ma non troppo: ordinate una pizza per telefono, e il computer che prenderà l’ordine accederà anche al vostro curriculum, ai voti che avete preso in passato, ai prestiti in biblioteca. E l’impiegata della pizzeria vi proporrà opzioni in base ai risultati che leggerà, come una pizza al tofu in caso siate grassi. E i sondaggi mostrano che già il 35 per cento delle aziende rifiutano i candidati per le informazioni che trovano sui social network.

4. …e c’è la buona possibilità che vengano usate contro di voi
Mark Zuckerberg direbbe che, in un mondo più trasparente, «tu hai una sola identità, e stanno per finire i giorni in cui avrai maschere differenti per i tuoi colleghi e per le altre persone che conosci». Ma questo è solo un lato della medaglia: un ex partner vendicatore (o vendicatrice), un collega rivale o un avversario politico potrebbero selezionare le vostre informazioni per danneggiarvi, modellando così la vostra identità in maniera disonesta.

5. Poi facciamo casino, e diamo più informazioni di quel che vorremmo
È molto semplice, spesso ci si può sbagliare e pubblicare qualcosa di privato senza accorgersene. Per capire quanto, Rowen consiglia una visita su youropenbook.org e una ricerca veloce di frasi come “cheated on my wife” o “my new mobile number is” (“ho tradito mia moglie” e “il mio numero di telefono è”).

6. E oltrettutto, perché vendere a un’azienda le proprie conversazioni?
Un giorno leggerete quelle 5.830 parole e vi accorgerete che Facebook detiene il diritto di fare più o meno ciò che vuole con i vostri dati, compreso venderli a chiunque paghi abbastanza. Sì, dice Rowan, Facebook è gratis, ma con mezzo miliardo di utenti che lo usano è ora di chiedersi quanto stia facendo bene o male alla società.

Onestamente ne condivido pochissimi...però indubbiamente solleva delle questioni che meritano di essere approfondite anche se il "meglio tardi che mai" mal si addice ad un colosso come Facebook.

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